UN MATRIMONIO D'AMORE TRA ANTICO E MODERNO
La famiglia Cavalli vi da il benvenuto nel mondo raffinato e per molti aspetti avvincente dell’Aceto Balsamico Tradizionale di Reggio Emilia.
Questo prodotto della scienza, dell’amore e dell’arte che andiamo a presentarvi, esprime quanto di più moderno e al tempo stesso di più antico possa stare sulla vostra tavola.
In una ristretta fetta di terra tra Reggio Emilia e Modena, una tradizione millenaria rende possibile anche ai giorni nostri la produzione di questo aceto elisir, per secoli considerato un autentico balsamo per lo spirito e per il corpo, e solo da pochi decenni utilizzato al meglio in cucina.
Le origini di questo prodotto affondano dapprima nella leggenda e poi nella storia.
La leggenda racconta che qualcuno, dimenticando l’esistenza del mosto cotto (saba) in un recipiente lo ritrovò, dopo parecchio tempo, con l’acetificazione avviata e ne intuì le possibili utilizzazioni per insaporire cibi che non sempre erano i migliori dal punto di vista della qualità e della conservazione

Ricercato fin dall’antichità per insaporire carni e verdure e immancabile ingrediente della dieta di Greci e Romani, viene per la prima volta documentato attorno all’anno Mille nella biografia di Matilde di Canossa.
La documentazione storica ci dice, invece, che Enrico III il Nero, sceso dalla Germania in Italia nel 1046 per dirimere le dispute dei tre Papi che si contendevano il soglio di Pietro, riuscì a far eleggere Papa Clemente II che lo incoronò Imperatore del Sacro Romano Impero.
Nella discesa a Roma, fece sosta a Piacenza. Qui si sarebbe rivolto al marchese di Toscana Bonifacio, padre della famosa Matilde, affinché gli procurasse quell’”aceto eccellentissimo”, formidabile balsamo, prodotto nel Castello di Canossa, di cui gli avevano magnificato la bontà e le virtù salutari. E Bonifacio che risiedeva nei castelli sopra Reggio e Scandiano, fece dono a Enrico III, Sacro Romano Imperatore, di un botticello d’argento contenente il prezioso antenato dell’Aceto Balsamico Tradizionale.
Si riparlerà di detto elisir, successivamente, nel poema “Vita Mathildis” scritto dal monaco Donizone, biografo della famosa Contessa Matilde, che ospitò nel suo Castello di Canossa il Papa Gregorio VII quando, nel gennaio del 1077, l’Imperatore scomunicato Enrico IV fu costretto ad umiliarsi per tre giorni fuori dalle mura del castello prima di ottenere il perdono papale.
Territorio di Matilde di Canossa (Reggio Emilia)
Zona di origine della produzione dell’Aceto Balsamico Tradizionale – Anno 1046 a.d.
Conosciuto in seguito dagli estensi, fu per secoli una presenza costante su tutte le tavole nobiliari e più fortunate del piccolo ducato. Nel Sette-Ottocento le batterie di botti entrarono negli elenchi dotali delle famiglie più agiate dei domini estensi, che attraverso lo scambio degli aceti rafforzavano anche il legame di sangue. Nel 1863, per la prima volta, in una pubblicazione compare la denominazione “aceto balsamico”.
Il Balsamico fu quindi sempre un prodotto privatissimo ed esclusivo delle famiglie reggiane e modenesi, che per il suo valore e la sua unicità era oggetto di regalo e di scambio, quasi mai di commercio.
A partire dagli anni Cinquanta del secolo trascorso, sembrava che questa tradizione andasse perdendosi a causa dello spopolamento delle campagne per scelte di vita cittadina.
L’intelligenza e lo spirito imprenditoriale di FERDINANDO CAVALLI, hanno fatto sì che l’Aceto balsamico tradizionale riprendesse vigore al punto tale da diventare un fenomeno di costume gastronomico.
Anche l’industria ha intuito immediatamente le potenzialità di questo prodotto, antico per origini, ma nuovo e sconosciuto al grande pubblico dei consumatori immettendo sul mercato, accanto ai tradizionali aceti di vino e di frutta, l’Aceto Balsamico di Modena che, a parte il nome, nulla ha da spartire con quello Tradizionale, sia per materie prime impiegate, sia per tecnica di produzione, sia per caratteristiche sensoriali.
E per venire a tempi più recenti (inizio ‘900) un’informazione flash.
Lo sapevate che il Reggianissimo Dorando Pietri, vincitore morale della maratona alle Olimpiadi di Londra nel 1908, durante la corsa ‘si avvicinava la spugna al naso e aspirava l’aroma dell’aceto balsamico consigliato dalla mamma…. il magico concentrato di odori e sapori della sua terra capace di dare forza alle gambe, alla volontà, alla fantasia’. (dal libro Il sogno del Maratoneta, la storia di Dorando Petri – Giuseppe Pederioli – 2009)
Nella foto l’atleta con la coppa conferitagli dalla regina Alessandra, colpita dalla sua storia
